Premio Pritzker 2019 ad Arata Isozaki e alla sua ricerca progettuale lungimirante sempre innovativa

Anche per quest'anno è finita l'attesa: è stato reso noto poche ore fa il nome del vincitore del Pritzker Prize 2019. Dopo Balkrishna Doshi, il primo architetto indiano ad aver ricevuto il premio, è Arata Isozaki ad essere insignito oggi del più alto riconoscimento annuale per l'architettura.

"He surpasses the framework of architecture to raise questions that transcend eras and borders" ha affermato la giuria, che ha elogiato l'approccio lungimirante e il profondo impegno dell'architetto giapponese nello sviluppo di una metodologia transnazionale che ha favorito il dialogo tra Oriente e Occidente.

La cerimonia di premiazione si svolgerà nel mese di maggio al Château de Versailles, proprio vicino al Petit Trianon dove nel 1995 un altro giapponese è stato insignito del Pritzker, Tadao Ando.

Come da tradizione, durante la manifestazione, Isozaki riceverà un premio di 100 mila dollari, un riconoscimento cartaceo e una medaglia in bronzo.

La giuria di quest'anno è stata presieduta da Stephen Breyer e composta da André Aranha Corrêa do Lago, Benedetta Tagliabue, Richard Rogers (Premio Pritzker 2007), Kazuyo Sejima (Premio Pritzker 2010), Ratan N. Tata, Wang Shu (Premio Pritzker 2012) e Martha Thorne.

Arata Isozaki pioniere di un'architettura che sintetizza la connettività tra l'universalità globale e l'identità locale

Architetto, urbanista, teorico, Arata Isozaki è l'ottavo giapponese ad aver ricevuto il Premio Pritzker, l'ultimo a precederlo è stato nel 2014 Shigeru Ban.

La giuria l'ha scelto perché "possedendo una profonda conoscenza della storia e della teoria dell'architettura e abbracciando le avanguardie, non ha mai semplicemente replicato lo status quo, ma la sua ricerca di un'architettura significativa si è riflessa nei suoi edifici che fino ad oggi, sfidano categorizzazioni stilistiche, si evolvono costantemente rimanendo freschi nel loro approccio".


Allianz Tower, photo courtesy of Alessandra Chemollo

Arata isozaki, una carriera tra oriente e occidente

La sua carriera inizia negli anni '60, nel periodo di rinascita del Giappone dopo le distruzioni della Seconda Guerra Mondiale, e si è caratterizzata per uno sforzo verso la ricostruzione non solo fisica ma anche culturale.

Ha da un lato ricostruito interi territori distrutti come i numerosi progetti per la sua città natale Oita, ma ha anche ridefinito, principalmente dagli anni '80, lo scambio reciproco tra società orientali e occidentali, informando la scena giapponese dell'architettura che si stava producendo in Europa e in America.

Un inguaribile viaggiatore che ha riflesso nella sua poetica tutto quello che ha imparato durante i suoi viaggi "volevo vedere il mondo attraverso i miei occhi, così ho viaggiato in giro per il mondo almeno dieci volte prima di aver compiuto trenta anni", ricorda infatti Isozaki.

Questo atteggiamento di apertura l'ha portato ad essere uno dei primi architetti giapponesi a costruire all'estero, un approccio lungimirante molto attuale per il nostro mondo globalizzato, secondo Tom Pritzker (Presidente della Hyatt Foundation).

Justice Stephen Breyer, componente della giuria, sintetizza infine che "Isozaki è stato un pioniere nel capire che la necessità di architettura è sia globale che locale, che queste due forze fanno parte di un'unica sfida".


Art Tower Mito, photo courtesy of Yasuhiro Ishimoto

I progetti italiani di Isozaki

A più di 50 anni dall'inizio della sua carriera Arata Isozaki conta progetti in ogni angolo del mondo e numerosi si trovano in Italia: è stato infatti tra i protagonisti delle trasformazioni olimpiche di Torino 2006 firmando il Palasport per l'hockey su ghiaccio, dei nuovi sviluppi in altezza milanesi con il grattacielo del Gruppo Allianz di City Life e anche di accesi dibattiti nazionali come per il progetto dell'uscita degli Uffizi a Firenze ancora irrealizzato.

Dal 2005 ha aperto a Milano, insieme al suo socio italiano Andrea Maffei lo studio Arata Isozaki & Andrea Maffei Associati srl.


Pala Alpitour, photo courtesy of Alessandra Chemollo

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