Equo compenso tema caldo della ripresa parlamentare: ecco di cosa si discute

di Mariagrazia Barletta

Terminata la pausa estiva del Parlamento, uno dei temi caldi che sarà affrontato è quello dell'equo compenso dei professionisti. La proposta di legge parlamentare che interviene sul tema della congruità delle prestazioni professionali rese nei confronti di clienti cosiddetti «forti» e della Pa, è stata esaminata dalla Commissione Giustizia di Montecitorio ed era arrivata in Aula ma, dopo alcuni rilievi della commissione Bilancio (la preoccupazione è che il testo possa comportare la revisione anche di compensi già pattuiti per prestazioni richieste da amministrazioni pubbliche), il testo è ritornato in Commissione Giustizia.

La proposta di legge tenta di ampliare il campo applicativo dell'equo compenso attraverso nuove disposizioni. Va ricordato che già nel 2017 (con il Dl 148) si è tentato di mitigare gli squilibri nei rapporti contrattuali tra professionisti e clienti "forti", individuati nelle imprese bancarie e assicurative e nelle imprese diverse dalle Pmi. Queste ultime, in base ai parametri europei, si identificano con le imprese che occupano meno di 250 persone, con fatturato annuo non superiore a 50 milioni di euro. Dunque, rispetto alle norme in vigore, la proposta di legge allarga la platea di clienti verso i quali si applica l'equo compenso.

Più nel dettaglio, il testo all'esame della Camera estende la disciplina dell'equo compenso alle attività professionali - e più precisamente a prestazioni d'opera intellettuale - che trovano fondamento in convenzioni, oppure sono svolte in favore di imprese bancarie e assicurative, nonché di imprese che nel triennio precedente al conferimento dell'incarico hanno occupato alle proprie dipendenze più di 50 lavoratori o hanno presentato ricavi annui superiori a 10 milioni di euro. Il professionista ha diritto all'equo compenso anche per le prestazioni rese nei confronti della pubblica amministrazione e degli agenti della riscossione.

Un passo avanti, ma che non accontenta tutti. Confprofessioni ha chiesto modifiche anche per il campo di applicazione, che - fa notare il presidente, Gaetano Stella -: «Si riferisce soltanto all'1% delle imprese presenti in Italia». Ma vediamo i contenuti della proposta.

Quando il compenso è equo

Nel testo uscito dalla Commissione Giustizia si legge che il compenso di un professionista è considerato equo se è proporzionato alla quantità e qualità del lavoro svolto e al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale. Per essere equo, il compenso deve soprattutto essere conforme ai compensi previsti dai decreti cosiddetti «parametri» e «parametri-bis», ossia dal Dm 140/2012 con cui il ministero di Giustizia ha introdotto i parametri che i giudici impiegano per determinare i compensi in caso di controversie ed dal Dm Giustizia del 17 giugno 2016 che fissa i parametri per la determinazione dei corrispettivi da porre a base di gara negli appalti di servizi per architetti e ingegneri.

Nulle le clausole che prevedono compensi non conformi ai parametri

Le disposizioni in fase di elaborazione considerano nulle le clausole che prevedono un compenso inferiore agli importi stabiliti dai parametri per la liquidazione dei compensi dei professionisti iscritti agli ordini o ai collegi professionali. Il disegno di legge considera nulle anche «le pattuizioni che vietino al professionista di pretendere acconti nel corso della prestazione o che impongano l'anticipazione di spese o che, comunque, attribuiscano al committente vantaggi sproporzionati rispetto alla quantità e alla qualità del lavoro svolto o del servizio reso» dal professionista.

Le clausole vessatorie

L'elenco delle clausole vessatorie, e quindi nulle, è ben lungo. Vi rientrano la possibilità del cliente di modificare unilateralmente le condizioni del contratto e la facoltà del cliente di pretendere prestazioni aggiuntive in forma gratuita. Il cliente non può inoltre pretendere un'anticipazione delle spese a carico del professionista. Non è inoltre possibile prevedere tempi di pagamento superiori a 60 giorni e sono nulle anche le clausole che impongono al professionista la rinuncia al rimborso delle spese connesse alla prestazione dell'attività professionale oggetto della convenzione.

La nullità delle singole clausole non comporta la nullità del contratto, che rimane valido ed efficace per il resto.

Qualsiasi accordo non conforme ai parametri può essere impugnato

La convenzione, il contratto, l'esito della gara, l'affidamento, la predisposizione di un elenco di fiduciari o comunque qualsiasi accordo che preveda un compenso inferiore ai valori determinati dai Dm parametri possono essere impugnati dal professionista innanzi al tribunale competente per il luogo dove egli ha la residenza o il domicilio, al fine di far valere la nullità della pattuizione e di chiedere la rideterminazione giudiziale del compenso. 

Il tribunale procede alla rideterminazione secondo i parametri previsti dai Dm, tenendo conto dell'opera effettivamente prestata e chiedendo, se necessario, al professionista di acquisire dall'ordine o dal collegio a cui è iscritto il parere sulla congruità del compenso o degli onorari, che costituisce elemento di prova sulle caratteristiche, sull'urgenza e sul pregio e sull'importanza dell'attività prestata.

Il giudice che accerta il carattere non equo del compenso pattuito, ridetermina il compenso dovuto al professionista e condanna il cliente al pagamento della differenza tra l'equo compenso ricalcolato e quanto già versato al professionista. Il giudice può inoltre condannare il cliente al pagamento di un indennizzo in favore del professionista, fino al doppio della differenza tra equo compenso e onorario corrisposto, «fatto salvo il risarcimento dell'eventuale maggiore danno».

Il ruolo dei Consigli nazionali

Il disegno di legge prevede anche un aggiornamento ogni due anni dei parametri, su proposta dei Consigli nazionali degli ordini o collegi professionali.

Esigere un compenso che sia giusto, equo, proporzionato alla prestazione professionale e conforme ai parametri diventa un obbligo: l'eventuale violazione potrà essere sanzionata dall'ordine professionale che dovrà adottare disposizioni deontologiche ad hoc.

Le imprese possono adottare modelli standard di convenzione, concordati con i Consigli nazionali degli ordini o collegi professionali. I compensi previsti in tali modelli standard si presumono equi fino a prova contraria.

L'istituzione di un apposito «Osservatorio»

La proposta di legge prevede anche l'istituzione, presso il ministero della Giustizia, dell'Osservatorio nazionale il cui compito è quello di vigilare sulle disposizioni sull'equo compenso,

L'Osservatorio è composto da un rappresentante nominato dal ministero del Lavoro, da un rappresentante per ciascuno dei Consigli nazionali degli ordini professionali, da due rappresentanti, individuati dal ministero dello Sviluppo economico, per le associazioni di professionisti non iscritti a ordini e collegi, ed è presieduto dal ministro della Giustizia o da un suo delegato.

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